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STORIA DEL PISTACCHIO

Il pistacchio (dal greco Pistàkion) è una pianta originaria del bacino Mediterraneo (Persia, Turchia),

coltivata per i semi, utilizzati per il consumo diretto, in pasticceria e per aromatizzare gli insaccati di

carne.

Non è esagerato dire che è una pianta vecchia tanto quanto il mondo.

Era noto e coltivato, infatti, dagli antichi ebrei e già allora ritenuto un frutto prezioso.

Per curiosità cronologica riscontriamo per la prima volta la parola “pistacchio” nell’Antico Testamento, 

successivamente nella Genesi, (origine-nascita del mondo) capitoli 42/43 versetto 11.
Qui, a proposito dell’episodio ben noto di Giacobbe, il quale manda i propri figli dalla terra di

Canan in Egitto per fare incetta di grano, troviamo la frase di seguito riportata:
“Ecco ho sentito dire che vi è il grano in Egitto. Andate laggiù e comprate per noi … 

Portate in dono a quell’uomo i prodotti scelti del paese: Balsamo, miele, resine, laudano, mandorle e pistacchi”.

Assieme ad altre piante allora molto apprezzate, il pistacchio è riportato nell’obelisco,

monumento celebrativo, fatto innalzare da Assurbanipal I° (re dell’Assiria, attorno al 668-626 a.C.),

nella città di Kolach.
Ma era già noto alle popolazioni orientali: Babilonesi, Assiri, Giordani, Greci sin dal III secolo a. C.

come pianta dai principi curativi, potente afrodisiaco e come antidoto contro i morsi degli animali

velenosi, chiamato secondo alcuni “fostak” o “fostok” e derivante secondo altri dal persiano “fistij”.

Furono gli Arabi, dunque, strappando la Sicilia ai Bizantini, ad incrementare ed a indirizzarsi nella

coltivazione del pistacchio che nell'Isola, particolarmente alle pendici dell'Etna, trovò l’habitat naturale per uno sviluppo rigoglioso e peculiare.

 

IL TERRENO DOVE SI COLTIVA

 

Nelle sciare del territorio di Bronte si realizzò uno straordinario connubio tra la pianta ed il terreno lavico che, concimato continuamente dalle ceneri vulcaniche, favorì la produzione di un frutto che dal punto di vista del gusto e dell’aroma, supera come qualità la restante produzione mondiale.

Qui, in un terreno sciaroso e impervio (i "lochi", così sono chiamati ancora i pistacchieti), il contadino brontese ha bonificato e trasformato le colate laviche dell’Etna in un insolito Eden, realizzando il prodigio di una pianta nata dalla roccia per produrre piccoli, saporiti frutti della più pregiata qualità, di un bel colore verde smeraldo, ricercati ed usati in pasticceria e gastronomia per le loro elevate proprietà organolettiche.

Oggi, del vasto territorio brontese (25.000 ettari), sono coltivati a pistacchieti quasi 4.000 ettari di terreno lavico, con limitatissimo strato arabile e con pendenze scoscese ed accidentate, poco sfruttabile per altre colture specializzate.

A tutela dei consumatori, come pure per una commercializzazione al passo con i tempi e, soprattutto, per ottenere un prodotto esente da residui tossici, auspichiamo si continui sulla strada della coltivazione biologica; come pure evidenziamo che, sempre a Bronte, manchi un campo sperimentale per studi specifici e ricerche.

A titolo d’esempio, si potrebbero introdurre nuovi portainnesti quali “l’atlantica” e “l’integerrinia” molto più vigorose per sviluppo e rapidità di produzione; la messa a dimora di piante, coltivate in fitocelle e già innestate come pure la clonazione in vitro.

 

COME NASCE

 

La fortuna di Bronte ha un nome: terebinto

Senza di es­so il pistac­chio non cre­sce­rebbe sulla

sciara. Una specie arborea fondamentale per l’esi­stenza dell’industria pistacchicola bron­tese è il terebinto (Pistacia tere­bintus), arbusto molto ramificato con corteccia bruno-rossastra, di odore resino­so-aromatico, più raramente piccolo albero alto sino a 5 m., dal legno duro, com­patto e pesante. La fruttificazione del terebinto è rappre­sentata da numerose drupe rosse o verde-grigio, aspetto che lo rende molto carat­teristico e attraente, e per questo usato a scopi ornamentali nei parchi, giardini, ville e per siepi.

In natura, alla propagazione del terebinto con­tribuiscono anche gli uccelli che si cibano dei suoi semi e ingerendoli, sot­topongono il duro tegumento ad una vera e propria scarificazione con gli acidi gastri­ci e, successivamente espellendoli con gli escrementi, sono più facilmente germinabili.
Come portinnesto consente al pistacchio (P. vera), di vivere anche in terreni poco profondi, ciottolosi, e perfino tra le fessure delle rocce.
Oltre che da alcuni pregi quali la frugalità e l’arido-resistenza, il terebinto è contras­segnato da alcune caratte­ristiche inde­siderate quali la lenta crescita in vivaio, le difficoltà d’innesto, la parziale disaf­finità d’innesto col pistacchio, la scarsa atti­tudine alla radicazione in vivo ed in vitro, l’eterogeneità dei semenzali, il lungo periodo improduttivo che induce nel gentile e l’attività pollonifera.
(Fonte Following Pistachio Footprints)

 

 

 

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